Il mio lavoro

Il mio lavoro parte da un interesse visivo, rivolto per lo più alla natura; natura che, insieme all’arte, ha fatto parte della mia educazione. I miei occhi, la mia mente e la mia mano, si sono innamorati e si sono lasciati educare da maestri come DUCCIO, PONTORMO, TURNER, ROTKO, GRIFFA, PARMIGGIANI, CASTELLANI…

L’incisione è diventata il mio mezzo preferito per rappresentare le sensazioni del paesaggio che mi circonda: dai tralicci dell’alta tensione agli alberi spogli, alle viti in inverno, agli interni di Milano. Quando mi capita di trovarmi in quello stato d’animo in cui sento che non posso fallire il segno/disegno, come se la mia mano fosse guidata da un energia veloce e chiara, mi armo di punte e incido la matrice. Irrefrenabile la voglia di dar forma a un momento di esaltazione!

I temi sono formalmente diversi, ma concettualmente unici, sia per i Ramage, le piante, i tralicci e l’informale: linee in uno spazio compatto e legato alla mia esperienza personale e alle persone a me care.

Il taglio, quindi il formato della lastra, spesso è già dettato dallo sguardo. Il colore per i Ramage, che sono tralci di vite o roseti in inverno, è nero, vinaccia, o a secco ed è il rilievo della xilografia e la pressione del torchio a renderne la poesia e delicatezza. La matrice dei lavori informali, invece, detta i colori insieme alla sensibilità dello stampatore.
Il lavoro sugli Interni di Milano è nato e si è sviluppato per il piacere di girare per la città e per l’attrazione che ho per il contrasto che crea la luce esterna vista da uno spazio interno molto buio, quando i miei occhi dal basso si rivolgono verso l’alto (evidente il mio amore per Caravaggio).

Le matrici da cui nasce il lavoro possono essere in legno, zinco, plexiglass, ferro, rame… lavorate con sgorbie, punte e acidi. Le cornici di legno sono fodere recuperate da antiche case, queste sigillano e completano la mia grafica.

Il principio, appena dopo la visione, è sempre uno scatto fotografico. La creazione inizia dalla visione. E’ sufficente un telefono per catturare il soggetto in un inquadratura (spesso rettangolare) che delimita uno spazio per me armonioso ed equilibrato, dove lo sguardo cerca la soddisfazione visiva. Lo sguardo coglie, lo scatto fotografico ferma. Capisco immediatamente se sarà una xilografia o un acquaforte. Trasferisco l’immagine sulla matrice, le sgorbie scavano, le punte segnano e l’acido corrode il segno… il tempo lascia che l’acido lavori creando un solco. La fase di inchiostrazione e di stampa ha invece successivamente il compito di donare poesia ed esaltare il lavoro.

Mi interessa la pura soddisfazione visiva che può prodursi alla vista di un’opera senza però essere estranea al mezzo a me complice; i miei mezzi sono le sgorbie appunto, le punte, gli acidi, il caso, l’inchiostrazione, il torchio, la parte più tecnica che richiede maggior attenzione e silenzio, la stesura dell’inchiostro, la pulitura della lastra con la tarlantana, la pressione del rullo, lo spessore del feltro, la morbidezza della carta, l’attenzione nel bagnarla… poi il caso insieme alla magia del gesto compiuto quando il piano del torchio insieme alla matrice completata passa sotto il rullo; pollice e indice prendono le pinze e l’angolo della carta; Lentamente alzano il foglio che è diventato stampa.

Silenzio.. silenzio… silenzio…

Si trattiene il respiro fino al momento in cui la stampa viene distesa per essere guardata.

Delusione, ripensamenti…

Commozione, stupore, gioia!

“Bon à tirer”

Così l’opera è il frutto di un lungo lavoro di elaborazione a più passaggi tecnici e non solo, nata però da una visione precisa.